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La grande tradizione delle feste patronali nelle regioni del Sud ha costituito da sempre il mercato delle nostre bande da giro. Non è un caso che il Conservatorio di Bari, in virtù delle numerose classi di strumenti a fiato, sia ogni anno ai primi posti in Italia per numero di iscritti e che la Puglia detenga il primato della regione italiana con il maggior numero di conservatori (Bari, Foggia, Monopoli e Lecce) e istituti parificati (Rodi Garganico e Taranto). Per fare un semplice paragone, nel Lazio, che ha quasi due milioni di abitanti in più rispetto alla Puglia, i conservatori sono soltanto due: uno a Roma e l’altro a Frosinone.

Ma se oggi l’organico delle nostre bande è costituito prevalentemente da giovani provenienti dai conservatori, un tempo i musicanti erano soprattutto artigiani (barbieri, calzolai, sarti, cappellai). Nei paesi con una buona tradizione bandistica c’era sempre una sala di musica che oltre a essere utilizzata per le prove aveva anche la funzione di scuola di musica. Il maestro direttore della banda era formalmente inserito nella pianta organica del Comune ed era anche il direttore della scuola di musica. Tuttavia la primissima istruzione musicale avveniva nelle botteghe artigiane. Dove soprattutto nei mesi invernali, quando il lavoro scarseggiava, ai garzoni venivano impartite lezioni di solfeggio. Inoltre era quasi obbligatorio che i ragazzi delle botteghe imparassero a suonare anche la chitarra o il mandolino.

Dai vecchi musicanti del mio paese ho ascoltato tantissimi racconti sulla vita grama che conducevano un tempo i bandisti, questi lavoratori stagionali della musica: i viaggi in piedi sui cassoni dei camion, gli squallidi dormitori allestiti nei corridoi o nelle palestre delle scuole elementari, la triste preparazione di un piatto di pasta senza condimento utilizzando il primùss, un piccolo fornello a petrolio di marca svedese. Ma ci sono anche storie divertenti come la rissa che si scatenò a Putignano per la festa di Santo Stefano nel 1945.

La sera del 3 agosto la banda di Conversano, diretta dal grande Giuseppe Piantoni, eseguì la Cenerentola con un finale interminabile che sembrava un bombardamento. Quando fu la volta della banda di Noci il maestro Orazio Lippolis, che evidentemente non aveva apprezzato quel finale, tirò dalla tasca un fazzoletto e spolverò il leggio prima di posarvi la partitura di Rigoletto. Non l’avesse mai fatto. Alcuni conversanesi del pubblico cominciarono a insultarlo, i nocesi al seguito della banda reagirono agli insulti con altri insulti, tant’è che ne scaturì una rissa che coinvolse centinaia di persone. Tutti pensavano: prima o poi finiranno con il darsele, e invece più passava il tempo più la rissa cresceva di intensità e si estendeva in altre zone del paese.

Gli organizzatori pensarono bene di spegnere le luminarie per decretare la fine anticipata della festa. Queste vicende erano frequenti un tempo perché più che essere cultori di musica, gli appassionati di banda erano essenzialmente tifosi. E come fanno i tifosi con la propria squadra del cuore, seguivano la banda in ogni trasferta e se necessario erano sempre pronti a menare le mani perché anche per le bande musicali era valido ciò che “il Piave mormorò”, ovvero “non passa lo straniero”.

Ma a volte il nemico non è uno straniero e allora il conflitto si radica nel tessuto più profondo di una comunità al punto che diventa difficile estirparlo. È il caso, per esempio, di Acquaviva delle Fonti, dove l’antica diatriba di cinquant’anni tra chiellisti e misasisti, dai nomi dei due storici maestri, non si è ancora del tutto assopita. La vicenda è nota. Nel novembre del 1960 l’amministrazione comunale licenziò il maestro Giovanni Astrita Misasi e il mese successivo conferì l’incarico di direttore della banda cittadina al maestro Giuseppe Chielli. Il conflitto politico che c’era in paese trovò un terreno fertile per esasperare gli animi dei cittadini.

Il risultato fu che nel 1961, sotto il nome di Acquaviva delle Fonti, si presentarono sulle piazze due complessi bandistici, uno guidato da Chielli e l’altro da Misasi. Ma il fatto più interessante di questa vicenda fu la radicalizzazione dello scontro che, di fatto, divise letteralmente in due la comunità acquavivese. Ci furono litigi in famiglia, rotture di fidanzamenti, mariti che ordinavano alle mogli di non fare più la spesa nei negozi i cui proprietari erano schierati con la fazione avversa. Prima di allora un fondamentalismo “musicale” di tal fatta non si era mai visto. Ma sarebbe riduttivo pensare al mondo della banda soltanto in termini aneddotici.

La tradizione bandistica pugliese è in primo luogo una sterminata produzione musicale che, con il sostegno delle istituzioni, va assolutamente raccolta e catalogata. Si pensi, per fare un solo esempio, alla stupenda marcia sinfonica A tubo del maestro Ernesto Abbate. Davanti a composizioni come questa si può e si deve parlare di musica tout court.

(fonte repubblica.it)